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parte quarta | 249 |
un piacere a essere cretino con sua moglie, perchè costei lo proteggesse di più, lo compatisse di più. Lucia gli rispondeva con pazienza, con quel sorriso rassegnato che faceva male a vedere, ma che a lui pareva il sorriso dell’amore. Quando ella si alzava, Alberto si alzava, ella veniva in salotto, Alberto la seguiva: quando ella lavorava, Alberto le parlava seguitando a farle delle domande stupide, a cui ella rispondeva con qualche stravaganza da sbalordirlo. Alberto ammirava sempre più in sua moglie le idee singolari, le cose che ella vedeva e che gli altri non vedevano, la coltura, la voce. Ora, ogni tanto la baciava, meno riservato di prima, attaccandosi a lei tenacemente. Egli dimenticava sinanco la propria salute per lei. L’acuto egoismo di quell’essere infermo, dal sangue povero e dalla fibra molle, taceva solo dinanzi all’amore per Lucia.
Oh! lei, Lucia, a sentirla dire, restava in casa volentieri. Quel palazzo reale finiva per diventare antipatico, troppo grande, troppo pesante, troppo architettonico.
In quanto al parco, era un orrore, di natura pettinata, infronzolita e incipriata, con i laghi pieni di trote e di pesci rossi che i borghesi amano, con la verdura rasa dalle forbici, con quella eterna cascata in fondo, striscia bianca, immobile, odiosa.
— Vi è il giardino inglese — osservò una volta Caterina.
— Tu l’hai visto? — domandò Lucia.
— No, mai.