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a Caserta, pel cattivo tempo e perchè di quella festa si curavan poco.

Caterina specialmente, liberata dall’obbligo de giurì didattico che la forzava a correre su e giù da Centurano a Caserta e perdere così le intere giornate, provava un gran piacere a restare in casa. Aveva tante cose da mettere in ordine, tante noncuranze da riparare, tanti progetti casalinghi da porre ad effetto. Una faccenda da compirsi presto era quella della conserva delle frutta, che il cuoco faceva a meraviglia, ma che richiedeva sempre una sorveglianza superiore, perchè poi nell’inverno, a Napoli, aprendo le bocce di cristallo, non si trovasse la conserva muffita. L’anno innanzi questo era accaduto per due bocce di conserva di pesche, diventate tutte verdi: un vero peccato. Poi ci era da mettere sotto aceto, nell’aceto vecchio di quattro anni, i capperi, i cetrioletti, i peperoncini forti, le pastinache: ce ne volevano varie bocce, poiché i sottaceti erano un gusto speciale di Andrea, che ne mangiava una quantità grande col lesso e con l’arrosto. Certo, Caterina non ci metteva le mani, ma doveva essere sempre lì, per direzione, per aiuto, per consiglio. Monzù aveva un’alta idea della propria sapienza culinaria, ma dichiarava a tutti che senza l’occhio della signora egli lavorava mal volentieri. Essa aveva una mano ferma, ma dolce coi servi, non parlando mai più del bisogno con loro, non accordando mance straordinarie in denaro, dando invece più spesso abiti vecchi e cappelli fuori uso, non misurando mai il mangiare e il bere, facendoli dormire sempre pulita-