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parte terza 235

si cacciò fra gli alberi. Poi ritornò a Lucia, già calmata dal pensiero di andarsene.

— Di là — le disse — vi è il laghetto, il posto di cui vi ho parlato, e vi è anche la strada per andar via. Si giunge per una scorciatoia.

Si avviarono, muti, lui scherzando con l’ombrellino come se volesse romperlo, comprimendo la sua collera. Per la discesa profonda che s’ingolfava come in un sotterraneo, si trovarono improvvisamente dinanzi al luogo che avevano cercato e che ora non cercavano più.

Era un laghetto piccolo e rotondo, dalle acque chiarissime, con una lieve intonazione glauca. Esso rimaneva sepolto, circondato dalle pendici del giardino inglese, piccole colline folte di alberi che lo nascondevano alla vista e alle ricerche: per vederlo bisognava arrivare sulla riva. La riva era circolare, piantata di acacie dal verde pallidissimo, di pioppi alti e magri, dal fogliame smorto. Dalla sponda, piegandosi sull’acqua, bagnandovi la sua capigliatura verde di ninfa desolata, un salice piangeva. Sul terreno un’erba corta e molle, a fili sottili, qua e là interrotta dai gruppi, folti e radenti il suolo, del trifoglio. Sulle acque, immobili, si aprivano largamente le piante acquatiche, dalle foglie rotonde e vellutate, dal verde cupissimo, senza fiori. A un punto, presso la sponda, una ninfea era salita dal fondo e aveva schiuso il suo bianco, largo e provocante fiore che fa staccare dal fondo i fiori maschi che lo amano e che muoiono di questo amore. Una penombra avvolgeva questo paesaggio, una luce bigia e dolcissima come passasse filtrata attraverso una tenda: un’assenza