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230 | fantasia |
dendo; — è stata una cattiva impressione, un passaggio brusco. Quando ero piccolo, mi succedeva, con mia madre. Volete venire al braccio mio? Vi condurrò dappertutto.
— Dove l’ombra è profonda, dove ci è il rumore delle acque cadenti, dove niuno pensa di venire — mormorò lei, intenerita.
Standogli al braccio, camminando in una viottola stretta, le cui siepi erano molto alte, ella colse degli anemoni di bosco, rosei, un fascio che mise alla cinta, nel nodo della cravatta, nel fiocco dell’ombrellino.
Quelle siepi fiorenti nell’ombra, dove il sole penetrava per riflesso, erano piene di anemoni selvatici, dalla campanula china, così delicata. Ella gliene dette, gliene mise nelle tasche del matinée, all’occhiello. Andrea rideva, silenziosamente, tutto rabbonito, tutto felice, sentendo quelle dita leggiere che strisciavano sul panno. Non si dicevano nulla: solo, per la via esigua, ella si stringeva a lui. Un uccellino, passando, le strisciò sulla fronte. Lucia gridò, si staccò da lui, corse innanzi.
— Venite, venite, Andrea. Che incanto!
Erano giunti a una piattaforma, una specie di terrazzino di verdura, che affacciava sopra un’altra valle. Di fianco, in alto, balzante, spumante, sgorgava dalla roccia il torrente, cadeva a valle; come una cateratta tutta bianca, tutta fioccosa, formava giù una corrente limpida, larga, poco profonda, che se ne andava tra due file di pioppi come se si avviasse, corrente senza