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parte terza | 229 |
donna. Questo le balbettò. Tacquero, scesero insieme, daccanto, senza guardarsi. Lui le tolse l’ombrellino e tuffò le mani nei merletti. Discendevano a valle. Andrea malinconico, dolente di non averla al braccio, non osando chiederglielo.
— Come siete qui? — chiese lei bruscamente — Non saprei dirvi. Laggiù si moriva dal caldo e dalla noia.
— Non per altro?
— ... pensavo che ci verreste.
— E avete ragione: è il destino. Aveva un’aria tragica sotto il suo velo nero, con l’abito nero, con la roncoletta d’argento che pendeva da una catenina alla cintura. Gli occhi cerchiati d’azzurro violaceo avevano uno sguardo tetro e voluttuoso.
— Se venisse Caterina... — disse ella, stringendo i denti rabbiosamente.
— ... non verrà.
— Se venisse, sarebbe meglio. Mi ucciderei qui.
— O Lucia!
— Non mi chiamate per nome. Vi odio.
Il tôno era così collerico, il labbro così livido, che egli impallidì, si levò il cappello per passarsi una mano sulla fronte. Poi, improvvisamente, due lagrimoni gli sgorgarono dai buoni occhi addolorati, scesero per la faccia onesta e disperata, si disfecero sulle mani.
— O Andrea, per pietà di me, ve ne scongiuro, non piangete. Oh non mi rendete così infelice, così infelice!
— Che! non piango — disse lui, rimesso, sorri-