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parte terza 221

Ultimo si era smorzato il lume dei Lieti, la cui casa era sull’angolo, sopra la fontana. Il salotto era rimasto oscuro: due lumi erano comparsi nelle due stanze da letto, ambedue col balcone sulla via, divise da una stanza intermedia. Ombre piccole e grosse, magre e alte, pigmee e colossali, erano passate dietro i vetri, disegnandosi sulle tende. Poi, buio.

Notte nera, di quella densità profonda delle notti meridionali. Uno scintillìo di stelle, una polvere brillante, cosparsa a casaccio, dove più, dove meno, con un movimento di battito, un palpito di costellazioni. Sotto, tra i campi che erano neri, si allungava una striscia biancastra, la viottola che conduce alla via maestra, verso Caserta. I fanali spenti. D’un tratto il primo balcone a sinistra si schiuse pian piano, e dalla stretta apertura una forma bianca e sottile scivolò, rimanendo immobile sul balcone; ma non si distingueva niente. Stava ferma, appoggiata alla ringhiera. Guardava il cielo o guardava la terra? Nulla si distingueva, salvo che, ogni tanto, la veste bianca si muoveva verso il basso: forse un piede impaziente la spingeva. Alle spalle di quella forma, che pareva si allungasse sul fondo nero della notte, il balcone restava socchiuso. Durava quella immobilità, durava quella contemplazione. Suonavano i quarti d’ora all’italiana, all’orologio della parrocchia, e se ne propagava il suono nitido per l’aria silenziosa.

Poi il terzo balcone a destra si schiuse con un lieve stridore del paletto, e si spalancò quant’era largo. Una massa nera apparve, confusa nella notte, senza che