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parte terza 217

zione, dove si contorceva, piena di bozze, di gonfiature, bistorta, una vegetazione tropicale di cactus. Rassomigliavano a serpenti verdi, pieni di veleno sotto la pelle, pieni di pungiglioni, drizzantisi sulla coda come se fossero in amore, o spezzantisi come tagliati in una vertebra, o ravvolgentisi come presi dal sonno. Su quegli orribili gambi che mettevano spavento, si apriva,un fiore rosso come una coppa, dal tessuto trasparente, dal pistillo giallo; si apriva un fiore bianco, quasi simile a un giglio. Fiori superbi e gloriosi, coppe dove bruciava un incenso fortissimo, che dovevano vivere intensamente una vita splendida di ventiquattro ore. Lucia si chinò sopra uno di questi e Io aspirò lungamente, quasi volesse succhiarne tutta la essenza. Rialzandosi, alle sue labbra si era attaccato un pulviscolo giallo.

— Odorate, Andrea; è inebbriante.

— No, no: mi farebbe male — disse lui, fregandosi gli occhi per scacciarne una nebbia che li ottenebrava.

In verità egli sentiva il più grande bisogno di sedersi e addormentarsi, di sdraiarsi sopra un canapè, di buttarsi per terra, lungo disteso per dormire. La sonnolenza se lo prendeva tutto, mentre invano egli cercava, con una volontà indomita, di tenersi desto. Spalancava gli occhi, si stringeva una mano coll’altra, cercava di pensare a qualche cosa per non dormire. Ma avrebbe voluto, solo per cinque minuti, posare il capo non so dove per dormire. Cinque minuti sarebbero bastati: lo sentiva, crollava il capo. La gente che passava rassomigliava sempre più a fan-