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parte terza | 215 |
profumi tenui della reseda e della vainiglia. Era preso da una oppressione profonda, come se il respiro gli fosse mancato; stille di sudore gli s’imperlavano sulle tempie e sulla nuca. Provava una stanchezza per tutta la persona, come l’indolorimento dell’indomani di un ballo, le gambe fiacche, intormentite alle ginocchia, le braccia cascanti, la bocca pastosa, e una pesantezza di palpebre.
— Che ne dite di Kruepper, signora Sanna? — domandò la San Celso, passando al braccio del suo giovane amante, a cui si appoggiava come una rovina cadente.
— Non ho ancora visto, duchessa.
— Guardate, guardate: questo tedesco ha del buono, ha della passione. Non è vero, Gargiulo?
— Voi parlate sempre bene e sempre artisticamente — rispose l’amante con una tenerezza nella voce, baciandole la mano nuda e scarna su cui si vedevano le vene gonfie della vecchiaia.
Passarono. La gente cresceva. Il mormorio delle voci si faceva sempre più alto, le signore diventavano più sorridenti, più scherzose in quella grande fioritura, si nascondevano dietro i gruppi a parlare con qualche giovanotto, ricomparivano arrossite nel volto, ridendo ancora, riparandosi dietro il ventaglio. L’ambiente si faceva sempre più carico, sempre più violento, con tutto quell’odore d’ylang-ylang, di opoponax, di fieno — e le carni femminili impregnate di fragranze — e i voluttuosi effluvii delle stoffe seriche — e i capelli dal profumo acre — e i merletti conservati tra i sacchetti