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parte terza | 213 |
— No — rispose lui, con uno sforzo, come se il suo spirito tornasse di lontano.
— L’esposizione di Lamarra è la migliore, signora Sanna — disse la Cantelmo, fermandosi un po’ con lei. — Noi lo premieremo. Guardate, vi prego, quel tappeto di fiori.
Passò avanti. Andrea e Lucia andarono verso l’estremo lato della grande serra, dov’era il tappeto di fiori. Era un rettangolo allungato, per terra, tutto a viole del pensiero, nei loro colori lugubri, il violetto cupo e vellutato, il giallo striato di nero; alcune grandi, con i petali grassi e il seno aperto come una boccuccia, altre piccole, minute, come un’unghia. Niente di verde. Questo tappeto tetro era tagliato da una grande croce bianca, nettamente staccata, tutta di gardenie, le più candide.
— Pare un tappeto che debba coprire una tomba — disse lei. — Mi ricorda il quadro di Morelli: La figlia di Jorio, distesa per terra, col tappeto che taglia tutta la stanza e attraversa il quadro.
— Voi vi compiacete troppo di cose tristi — osservò lui, la voce infiacchita.
— Gli è che il mondo è triste. Questi Lamarra di Napoli sono gente ignorante, ma hanno arte e sentimento. Essi intendono che il fiore può indicare la gioia, ma che indica spesso il dolore. Le gardenie sono fiori nobili. Sono quasi gelsomini doppi, il gelsomino fatto più ricco, più bello. La gardenia pare che abbia un’anima; certo ha sempre un carattere. È piccina, meschina, rachitica, coi petali arroncigliati; è grandetta, ma minuta