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212 | fantasia |
la porta. Andrea comprese, si staccò da Cantelmo, si avvicinò a lei e le porse la mano, come se la vedesse per la prima volta nella giornata. Parlarono, freddamente, come semplici conoscenze.
— State bene?
— Meglio: grazie. Perchè siete tornato?
— ... mi trovavo da queste parti. Poi, la sala è piena di gente; posso fermarmi anche io.
— Rimanete: voi dovete amare i fiori.
— No: mi sono indifferenti. Quest’aria è carica di profumi.
— Vi pare? Non me ne accorgo.
— Oh! sono fortissimi. Come possono resistere tante signore?
— Vi ricambio le vostre spiegazioni, signor Andrea. Io li adoro questi fiori e li capisco. — Vedete questi gelsomini: sono fiori spagnuoli, dal profumo già forte, fiori rassomiglianti a una stella. Si arrampicano anche, tenacemente, come un amore modesto ma costante.
— Che ne sapete voi dell’amore? — disse Andrea ironicamente.
— Quello che gli altri non sanno e che voi non sapete — ribattè lei. — Guardate, guardate quanto è bello questo grande fascio di rose bianche e di rose thea, che colori leggeri e delicati!
— È il fiore che portavate voi al ballo di Casacalenda, e l’altro giorno all’inaugurazione.
— Avete una buona memoria. V’annoiate di questo giro?