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rarne i grandi orizzonti: il suo ideale era vasto — e soffriva di doverla offrire in briciole a quelle fanciulle aristocratiche, belle e indolenti, che non volevano saperne. Giovane ancora, s’era inaridito e invecchiato nei severi studi — ed ecco, ora, gli si rizzava innanti la gioventù gaia e noncurante, che vuol vivere e che non vuole sapere. Un’amarezza gli saliva alle labbra, contro quelle creature frementi di vita che disprezzavano il suo ideale: un’amarezza di non potere essere anche lui bello, vigoroso e ricco di spensieratezza, per amare, per essere amato. Gli sgorgava dal cuore l’angoscia e gli avvelenava le vene e il cervello per dover avvilire la scienza sua innanzi a quelle frivole e disumane fanciulle. Ma la tempesta crescente fu domata e nulla ne apparve di fuori, se non un lieve rossore sui pomelli scarni.

— Poichè nessuna di voi ha imparato — disse lentamente a voce bassa — nessuna avrà fatto neppure il còmpito.

— Altimare e io lo abbiamo fatto — rispose Caterina Spaccapietra. — Non siamo uscite — soggiunse, quasi a spiegazione, per non offendere le amiche.

— Leggete allora voi, Spaccapietra. Si tratta di Beatrice di Tenda, mi pare.

— Sì, di Beatrice di Tenda.

Spaccapietra si alzò e lesse con la sua voce pura e lenta:

«L’ambizione aveva sempre signoreggiato gli spiriti dei Visconti di Milano, i quali tutto osavano per potersi mantenere nel sovrano potere. Non dissimile dai