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parte terza 209

accanto alla serra, tutta rossa, gli occhi smorti, le labbra appassite, il naso assottigliato.

— Ho creduto di morire — disse poi ad Andrea che aspettava, smarrito, pentendosi di averla condotta seco.

— Andatevene, vengono le signore.


La duchessa di San Celso era venuta dalla sua villa per la giurìa dei fiori. Questa vecchia mondana era più imbellettata, più rugosa che mai, vestendo il corpo floscio, dalla grassezza morta, con un abito giovanile, e portando sui capelli tinti un cappellino bianco; ella andava e veniva, curva, col collo torto, mostrando il piede che aveva ancora snello. Vi erano tre o quattro signore dell’aristocrazia venute appositamente da Napoli: la Cantelmo, alta, forte, bianca, opulenta, vestita con sfarzo; la Fanny Aldemoresco, piccola, bruna, zingaresca, col naso adunco, la pelle gialliccia e gli occhi sfolgoranti, vestita di rosso cupo; la Della Marra, col suo viso biondo, scialbo, i capelli di una tinta pallida, lo sguardo grigio; poi una contessa capuana, magra, una testolina di vipera; poi la moglie del prefetto, donna grassa e insignificante, piena di riverenze e di saluti cerimoniosi; poi la vedova di un generale; poi Lucia Altimare-Sanna.

Queste signore avevano fatto dei giri intorno alle aiuole, dove si dovevano giudicare i fiori in terreno, studiando con l’occhialino di tartaruga appoggiato al naso, il mento sollevato, l’occhio severo, volgendosi a discorrere coi giovanotti, chiacchierando vivamente fra