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pizzicottando svogliatamente il granone o la zuppa di crusca in un truogoletto, dandosi dei colpi di becco sotto l’ala, chiocciando spesso, come se quel grido fosse uno sbadiglio rauco di bestia molto annoiata. Sole le chiocce avevano un aspetto serio, tutte composte, tutte raccolte in sé, immobili.

— Vedete, Lucia, io credo che le chiocce pensino sempre ai pulcini che se ne sono andati pel mondo.

— Io non avevo mai visto una chioccia. Non vi sono tortorelle qui?

— No: ci sono i soli animali per l’uso agricolo. Le tortorelle sono animali di lusso. Voi le amate?

— Sì, ne avevo una e mi morì: allora ero piccina.

— Peccato, qui non ve ne sono.

Un gallo, svegliandosi dal suo torpore, vedendo che un raggio di sole penetrava da una finestra, lanciò nell’aria uno stridulo chicchiricchì; subito un secondo gli rispose, sopra un tôno più grave, poi un terzo entrò immediatamente — e le galline si misero a schiamazzare come da soprani sfogati, le gallinelle d’India facevano da contralti, le chiocce e i gallinacci gorgogliavano nelle gole grasse come bassi profondi. Una sinfonia discordante, crescente, saltellante, che faceva turare le orecchie ai visitatori pazienti e scappar via quelli nervosi. Lucia si era stretta al braccio di Andrea, la testa contro la spalla di lui, per non udire, sbalordita, ridendo nervosamente, tossendo, volendo parlare, ma non trovando fiato, mezzo assordata. Egli sorrideva nella sua flemmatica bontà per quella musica animalesca. Poi la sinfonia decrebbe man mano, alcune