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204 | fantasia |
Era un toro, un toro nero, con una macchia bianca sulla fronte, fra le due corna splendide: era un toro maestoso, membruto, sdegnoso della rastrelliera, messo solo in un grande spazio, con la fune lunga: esso aggiravasi irrequieto nella sua galleria senza guardare la gente che lo ammirava, che mormorava sottovoce certi elogi paurosi.
— O com’è bello, com’è bello! — gridò Lucia.
— È bellissimo. È di Piccirilli, di Casapulla: lo premieranno. È l’amante, è il signore, è il tipo puro eccezionale: è la perfezione della razza. Un capolavoro, Lucia... che avete?
— Mi sento male, un po’: conducetemi laggiù dove ci è l’acqua. Sento il sole che mi morde le braccia, ora. Ho il fuoco nel cervello.
Si allontanarono sino alla fontanina, sotto un albero, dove vi era un bicchierino di legno. Lui bagnò il fazzoletto nell’acqua e glielo posò sulla fronte.
— Grazie, sto meglio. Mi sentivo morire. Torniamo, o piuttosto proseguiamo: qui siamo troppo soli.
Passarono dinanzi alle boxes dei cavalli, una lunga fila di casette di legno, chiuse, perchè non vi era esposizione quel giorno. Si udivano pure i nitriti frequenti delle bestie condannate all’inazione, in una semi-oscurità, sotto quei tetti di legno che s’infuocavano nel pomeriggio crescente. Si udiva lo scalpitìo delle bestie, irrequiete, impazienti.
— Sono puledri giovani e vivaci, abituati ai liberi galoppi nelle nostre pianure, nelle difese vastissime, dove sono allevati. Non sono assuefatti all’immobilità: