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202 fantasia


— Anche l’amore è un egoismo — affermò Lucia indispettita.

Proseguivano pian piano. Dallo stecconato i bovi li guardavano coi grandi occhi sereni, che par quasi abbiano un senso di riflessione. Qualcuno di essi, chinando la testa sotto il sole che batteva sulla dura cotenna, brucava un fascio di erba. Ogni tanto un colpo sordo di zampa impaziente batteva sull’erba rada e calpesta del prato. Le mosche si posavano su quelle cuti rudi, rugate, a sciami. Tratto tratto un bove si dava un colpo di lingua sul collo o una sferzata di coda nei fianchi per cacciarle via; ma le mosche ritornavano, insolenti, ronzando nell’afa che cresceva. Lucia aprì il suo ventaglino giapponese, tutto sabbia d’oro su fondo nero, e si sventolò rapidamente.

— Avete caldo?

— Moltissimo. Anche qui si soffoca.

— Sediamo, se volete?

— No, le bestie m’interessano. Poi, sento il sole mordermi le spalle: meglio camminare.

— Queste sono le bufale — spiegò Andrea. — Non dovete mai averne vedute. Sono animali di razza più nobile della vacca. Vedete: non vi pare che abbiano un’aria fiera? Scuotono la testa con le corna ricurve. Sono di un temperamento sanguigno, robustissimo: hanno un sangue nero e fumante. Avete mai bevuto il sangue caldo?

— No — rispose lei sbalordita, ma umettandosi le labbra pel desiderio — com’è?

— Una bevanda gagliarda che mette il vigore nelle