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198 | fantasia |
Andrea, in quella ora di tetraggine insopportabile di Lucia. Arrivarono alla mezza dopo mezzogiorno al palazzo reale. Si salutarono, brevemente, dandosi appuntamento per le quattro. Caterina salì su, alla didattica, e Lucia prese pel giardino, alla floricoltura. S’incontrava un mondo di gente, in quei dintorni, giovanotti eleganti e signore elegantissime. Lucia camminava lentamente sul terreno battuto del viale a dritta, sotto gli ippocastani: chi la incontrava si voltava a guardarla. Portava un, abito di un verde cupissimo, in stoffa damascata a fiorellini dello stesso colore: abito corto, attillato, molto gonfiante dietro: si vedeva la scarpetta di pelle nera, alla paesana, e il principio della calza di seta verde cupo, traforata. Poi, sulla testa posato un leggero, aereo cappellino di velo rosa pallidissimo, una nuvoletta, un soffio, senza fiori, senza piume, arricciato come una spuma rosea. Era meno pallida del solito. Ora che Caterina se n’era andata, sorrideva a una fantasia. Il sorriso divenne più acuto quando, fiancheggiando le aiuole dell’Esposizione di floricoltura, per passare nella serra delle piante esotiche, incontrò Andrea.
— Caro Lieti, che andate facendo?
— Nulla — disse lui, confuso — cercavo un amico, un espositore di Maddaloni.
— E lo avete trovato? — ed ebbe un sorriso ironico.
— No, non v’è. Lo aspetto. E voi?
— Lo sapete bene: vengo al giurì per la floricoltura.
— Ma non si raduna che alle due.