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parte terza | 195 |
— Secondo: ne ho dell’altro, più forte.
— Inebbriante?
— Sì.
— Il vino è una cosa eccellente e benefica: esso inebbria e fa dimenticare — disse lei, lentamente.
— Dimenticare — mormorò Alberto — e la signora Caterina, che abbiamo dimenticata?
Gli altri due scambiarono un’occhiata rapidissima. Avevano, infatti, dimenticato Caterina, che li aspettava da un’ora nel salotto di Maria Carolina, donde tutte le giurate erano partite.
A tavola, fra l’arrosto e l’insalata, Lucia disse che era stata e stava di malumore per quel povero Galimberti. Non aveva più appetito, pensando alla sventura imminente.
— Quale sventura? — fece Caterina.
— M’ha scritto la sorella: egli ha dato segni di alienazione mentale.
— O poveretto!
— Poverissimo: vittima di una cieca fatalità, di un destino brutale. Si spera ancora di vederlo guarito, ma non ha mai avuto la testa solida. Sai, sono anche poveri e non lo confessano.
— Gli hai mandato denaro?
— Se ne offenderebbe: gli ho scritto.
Un gelo si propagò fra gli astanti. Quando andarono a letto, Andrea era tutto pensieroso.
— Che hai? — domandò Caterina, rifacendosi le trecce.