Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
parte terza | 193 |
della vita, per i miseri calpestati, per i paria di questa crudele società. Io li amo profondamente, arditamente. Il mio cuore è un focolare di amore per essi.
Infatti una fiamma le coloriva il viso, ella era eccitata, esaltata, la voce vibrante. Ma subito impallidì di nuovo, smarrì la voce.
Andrea soffriva. Sentiva il torto di Lucia, ma non osava mostrarglielo: sentiva il predominio ch’ella prendeva nella conversazione e la influenza che esercitava sulle persone che la circondavano, e se ne spaventava come di un pericolo. Poc’anzi, quando lei gli si era messa sotto il braccio, egli si era sentito fremere per ogni fibra, di un piacere delicato e pieno. Poi, quando se n’era staccata, egli si era sentito solo, abbandonato, come ammiserito, come privo di ogni forza, tastandosi il braccio quasi per ritrovarvi la impressione di quella mano. Ora Alberto rideva di lui, e ciò lo irritava assai. Questo piccolo Alberto, essere innocuo e stupido, era dunque capace di mordere, alle sue ore? Era dunque velenoso, quando ci si metteva, quell’animaletto tisico? Non valeva meglio schiacciargli la testa contro il muro? Andrea si trasse il cappello leggero, grigio, e si sventolò la faccia per far evaporare quei fumi di collera cieca che lo assalivano. Camminavano tutti tre in silenzio, come isolati in un pensiero, ognuno vivendo per conto proprio. Quel silenzio imbarazzante si prolungava. Alberto ebbe un’idea.
— Fa la pace con Andrea, Lucia.
— No, egli è un cattivo egoista.
— Via, fa la pace. Non vedi che è triste?