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— Sentite, signor Andrea: è vero che la vita della maceratrice di canape è trista, come quella delle contadine che coltivano le maledette risaie?

— Non proprio così, ma quasi, signora Lucia. La macerazione della canape si fa nel pieno estate, sotto il sollione, cattivo sole che fa esalare dalla terra tutti i miasmi. L’acqua dove la canape sta a macerare imputridisce e guasta l’aria.

— Ma sapete che quanto mi dite è odioso? Sapete che questa vita cittadina che si nutre delle vite campagnuole è antropofaga? Sapete che noi siamo degli omicidi ora per ora? O andiamo via, andiamo via da questa sala; questa esposizione mi fa l’effetto di un carnaio umano.

— Vi è dell’esagerazione — rispose lui, non osando contraddirla apertamente — poiché ora le malattie sono molto diminuite e i casi di mortalità diventati più rari. I proprietari forniscono chinino, gratis, alle donne ammalate. Poi, se si pensasse bene a tutte le cose umane, si vedrebbe che la vita ha bisogno di questi oscuri sacrifizi. Il progresso...

— Siete un essere antipatico e cattivo. Non vi posso soffrire. Andatevene.

Lasciò il suo braccio come se ne avesse orrore e si accostò al marito. Alberto rideva vedendo la faccia scombuiata di Andrea.

— O povero Andrea, non lo sapevi che Lucia è umanitaria?

— Non sapevo — disse egli, seriamente.

— Il mio cuore è pieno di amore per i diseredati