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parte terza | 181 |
nali, facce chiuse e annoiate, acconciature venute da Napoli, qualcuna goffamente portata, qualcuna elegantissima: signore venute lì per pompa, ma pentite profondamente di esserci capitate.
Le persone notevoli erano la moglie del colonnello, contessa Brambilla, giovane, fresca, dagli occhi vivacissimi, dai capelli tutti bianchi; la illustre poetessa Nina, svelta, piccola, linda linda, un granello di pepe; la moglie dell’onorevole di Santamaria, una letterata quieta, severa, dargli occhi lionati e pensosi, figlia di una poetessa soave ed eccellente madre di famiglia. Tutte quelle signore si guardavano fra loro, curiosamente, studiandosi di non parere, chiacchierando di calze a mano, di camicie impuntite e di rammendi su castoro. Le relatrici andavano e venivano dal banco della presidenza per comunicazioni speciali.
Caterina, fra le signore, si teneva in silenzio, leggendo o fingendo di leggere nel suo libriccino di note. Era un libriccino di bulgaro col nome Ninì, regalatole il giorno prima da suo marito. Andrea era diventato più teneramente affettuoso da qualche tempo, ed ella godeva di questa tenerezza a suo modo, con una soddisfazione raccolta e senza espansione. Quando erano soli, chiusi nella loro camera, Andrea se la prendeva nelle braccia, se la metteva sulle ginocchia, la faceva saltellare, la portava in giro come una bambola, baciucchiandola, mormorandole, Ninì, Ninì, Ninì, sempre Ninì. Qualche volta, in queste espansioni, egli era commosso, gli tremava la voce: certo non rideva più con quel suo riso clamoroso, che riempiva di letizia