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indefinito, come se segnasse un circolo in aria, una ruota, come se avviasse una sfera di orologio.

— Egli dà la corda all’eloquenza — susurrò Lucia vivamente commossa.

Egli diceva delle cose molto poetiche, qua e là sdrucciolando nella rettorica, nella frase fatta che romoreggia così bene, nella testa della folla che ascolta. Sì, era lieto di aver lasciato per un istante le gravi cure del governo e le asprezze della politica per accorrere a questa festa del lavoro, dell’umile lavoro, di quel lavoro che nobilita la mano callosa del contadino.

Non ci fu effetto: la sala era piena di proprietari in marsina, che non intendevano queste sentimentalità.

...Poichè — soggiunse — questa festa avrà anche un carattere storico. I romani, o signori, questi grandi nostri antichi che avevano la poesia nella parola, chiamavano questa provincia Campania Felice...

Qui la sala, intenerita, presa da una commozione tutta musicale, scoppiò in un grande applauso. I giornalisti scrivevano, tutti, nel taccuino, chi appoggiato al muro, chi sulle ginocchia, con un contegno di persone importanti.

... Noi l’abbiamo chiamata Terra di Lavoro, nome anche altamente poetico, che indica i più oscuri, ma più nobili sforzi, la richiesta quotidiana che l’uomo fa alla terra sua madre, a quella terra... quella terra... a quella Alma Demeter, cui i terrigeni inneggiavano. Salutiamola anche noi, questa madre benigna, inesauribile fonte di benessere sociale, seno benedetto che