Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
parte terza | 165 |
brizzolati, ma folti, duri e ben piantati sulla fronte quadrata: una robusta testa di cane fedele, dagli occhi fieri e onesti, dalle nari aperte, dalle mascelle solide. I mustacchi grigi coprivano una bocca bonaria, quasi infantile, a cui il pizzo napoleonico dava un carattere di uomo serio e meditativo. Salutava, molto contento, in fondo, di quegli applausi, assaporando con delizia una delle poche gioie della vita ufficiale. Salì al banco, sedette nel mezzo, dopo aver risposto al nuovo applauso con un saluto.
— È un valoroso: ha combattuto tutte le battaglie, è di una famiglia d’eroi — spiegò Lucia a Caterina.
Poi ci fu il coro di tosse, di raschiamenti, di raucedini dissipate che precede ogni discorso. A destra del ministro sedeva il deputato di Sora, un vecchio bianco e arzillo, dalla collana di barba bianca sotto il mento, dallo sguardo un po’ fuggente: un finanziere. A sinistra, freddo e contegnoso, più aristocratico che mai, il deputato di Capua. Due seggioloni vuoti. Il deputato di Caserta si mescolò alla folla: il Comitato prese posto. Il presidente del Consiglio parlava in mezzo a un silenzio profondo.
In verità, il collare dell’uniforme saliva troppo sulla nuca, dandogli un’aria di goffaggine. Egli parlava curvandosi un poco, fissando un punto vago della sala, distraendosi talvolta e perdendo la parola, talvolta facendo delle pause lunghe che parevano effetti oratorii, ma dovevano essere assenze di pensiero. Egli puntava una mano sul tavolino e con la destra faceva un gesto