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parte seconda | 153 |
— Anche a me.
— Tu sei sempre del mio parere. Quell’Alberto è così meschino, così miserabile, che non si merita una donna come Lucia.
— È vero, è vero. Le scriverò che fa male.
— Sì, scriviglielo. Non ti darà retta, ma tu l’avrai avvisata in tempo. O piuttosto... aspetta domani a scrivere.
Non ne parlarono più, ma durante tutta la sera furono preoccupati e distratti. Scambiarono rade parole. Andarono al teatro, ma non restarono sino all’ultimo atto.
Durante la notte Andrea fu agitato: Caterina, tra veglia e sonno, lo sentì voltarsi e rivoltarsi, sbuffare, scuotere la coltre. Insonnolita, avendogli chiesto che avesse:
— È il caffè! era troppo carico, — borbottò lui. Al mattino seguente egli la prese a parte, essendovi la cameriera — e le fece questo discorsetto:
— Senti, Ninì, non c’imbarazziamo nei fatti altrui. Forse possiamo ingannarci: non prendiamo responsabilità troppo serie. Lasciamo maritare l’Altimare come le piace. Forse sarà felice con Alberto. Non abbiamo carico d’anime, noi. Le daremmo forse un cattivo consiglio. Dopo tutto, i matrimoni non riescono mai quello che si prevede. Scrivile che fa bene Lei ubbidì, poichè l’incarico suo era di trovar saggio e onesto quanto suo marito faceva.