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piamente, come una indegna creatura, ma prescelta per bontà divina.

«Scrivimi. Dimmi il tuo parere, netto, sincero, leale, come sempre me lo hai detto in tutte le gravi occasioni della vita. Niuna più grave di questa: lo ripeto. Scrivimi sopra un pezzo di carta: Tu fai bene, Lucia. O scrivi: Lucia, tu fai male.

«E ritorna, ritorna, Caterina: ritorna a chi t’ama come mai amica fu amata.

«Lucia».


La voce della lettrice, pura e sonora, verso l’ultimo si era affievolita, un po’ roca, come molto stanca.

Quando ebbe finito, piegò i fogli di carta velina, li ripose nella busta, e aspettò che suo marito parlasse.

Andrea aveva bevuto due bicchierini di wermouth, il terzo lo aveva lasciato a metà; il sigaro gli si era spento un paio di volte.

— Tu che ne pensi, Ninì? — domandò poi, con un tono di trasognato.

— Io? Non so, non ho idee, io, non ne ho mai avute.

— E che le scriverai?

— Quello che mi dirai tu.

— Ti fo osservare che l’Altimare — soggiunse lui freddamente — non ti ha detto nè di leggermi la lettera, nè di chiedermi consiglio. Io non sono nominato.

— Ma tu capisci... -— disse lei, umiliata.

— Sì, capisco e non capisco. A ogni modo mi pare uno sciagurato matrimonio.