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parte seconda | 145 |
di dirlo, ma io l’indovino. Ma che sono un orso, io? Vuoi fare accreditare la voce che io sia tiranno?
— Andrea!
— Su, piccola vittima d’un marito barbaro e spietato: poiché ci vuole un’ora pel pranzo e poiché la riuscita del nostro affare ne fa clementi, leggeteci questa lettera. Noi ci faremo portare del wermouth e dei sigari per tollerare, con una santa pazienza, questo tormento di nuovo genere. Dio mio, considerate voi questo Andrea infelice...
— Se continui così, non leggo.
— Ma che! Se muori dal desiderio di leggere! Su, raggiratrice, su, strega. Noi prestiamo la dovuta attenzione.
Caterina cavò la lettera dalla tasca dove la teneva con la mano, e lesse:
«Caterina mia!
«Questa lettera che io ti scrivo non rassomiglia alle altre, piene di fantasticherie, come mio padre le chiama. Questa lettera è grave. Caterina, raccogli quanto senno, quanta ragione possiedi: aggiungi l’esperienza: chiama in aiuto tutta la profonda amicizia che hai per me e siimi buona di consiglio, di soccorso. Caterina, io sono giunta all’ora più solenne della mia vita. Pellegrina, errante e senza guida, sono giunta al bivio. Debbo decidermi. Debbo rispondere alla domanda oscura dell’avvenire: il punto interrogativo mistico del futuro chiede un no, chiede un sì. O Caterina, quanto lo temevo questo momento decisivo! Come mi vi appressavo esitante, confusa, smarrita di forze! Ecco, esso mi ha sopraggiunta; mi è addosso come un incubo.