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142 | fantasia |
al marito nel desiderare la reggia, nel pretendere la reggia, nel volere la reggia: a che serviva quel palazzone grave e vuoto? Per l’Esposizione sarebbe magnifico. Bisognava avere la reggia a ogni costo.
Detto e ripetuto questo molte volte, Andrea e Caterina se ne andavano a pranzo or qua, or là, trattenendosi molto, studiando la lista del giorno, scegliendo ognuno una cosa, ognuno assaggiando di quello che l’altro aveva scelto, Andrea ammiccando al cameriere, mettendo in tutto quello che facevano la loro soddisfazione di persone sane, giovani e felici. Niuno li disturbava, niuno li faceva andare in collera. Roma è umana, è materna, è sorridente a questi sposi che vengono a portare il loro amore per le sue vie aspramente selciate, nelle sue mura bigie e grandiose, sotto il suo cielo mite, di una dolcezza infinita.
Dopo una fermatina al Caffè del Parlamento o a quello di Roma, una breve passeggiata — e a nanna. Andrea era stanco, eppoi doveva alzarsi presto, alla mattina. Ma più spesso, in quelle ore fra la colazione e il pranzo, Caterina pregava Andrea che la lasciasse in casa. Preferiva starsene lì, in un minuscolo salotto che aveva accanto alla camera. Al ritorno Andrea le chiedeva che cosa avesse fatto. Lei rispondeva:
— Ho lavorato con la cameriera per ritoccare il mio abito grigio. Ella non sapeva, le ho insegnato. Sono andata qui presso, sino da Pontecorvo, per scegliere certe stoffe da portare a Napoli...
Qualche volta chinava gli occhi e diceva:
— Ho scritto.