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parte prima 7

Lucia Altimare, senza far romore, senza singhiozzare, piangeva. Le lagrime le scorrevano per le guance un po’ scarne, dai pomelli sporgenti, le piovevano sul petto, sulla mani, si disfacevano sul grembiule — e lei non le asciugava. Caterina le porse di nascosto il fazzoletto, ma l’altra non ne accorse.

Il predicatore, padre Capece, uscì sull’altare per la benedizione. Le litanie finivano con l’Agnus Dei qui tollis peccata mundi: la voce della cantatrice pareva vinta da una grande stanchezza. Di nuovo tutte le educande si inginocchiarono, e il prete pregò. Sull’organo, Giovanna, inginocchiata anch’essa, respirava profondamente. Dopo cinque minuti di preghiera tacita, sulle teste abbassate risonò lento l’organo e parve salire, da una sfera aerea al cielo, una voce vibrante che magnificava il Sacramento nel Tantum ergo. Giovanna non era più stanca: anzi il suo canto si rinforzava, pieno di vita, maestoso, in una fluttuazione così appassionata che pareva quasi voluttuosa. Un’aura d’amore spirava su quelle teste giovinette e un senso mistico turbava quei cuori. Il momento diventava solenne, nell’agitazione della preghiera, nell’appressarsi della Benedizione: quell’istante supremo domava e atterrava quelle fanciulle in una prostrazione dolorosa e squisita. Indi tutto tacque: un campanellino squillò tre tocchi: per un momento Artemisia Minichini osò alzare gli occhi, lei sola, guardando quei corpi abbandonati sulle seggiole, guardando sfacciatamente l’altare — presa da un timore puerile, li chinò. Il Divino Sacramento, nella sua spera d’oro lucido,