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136 fantasia


— Vi pare? — disse lei, languidamente, come spossata dal riso.

— Sicuro.

— Sarà l’abito bianco.

— O sarete voi. Voi fate miracoli strani. Sembrate quello che volete sembrare.

— Che sembro questa sera? — soggiunse Lucia, con una stanchezza voluttuosa.

— Sembrate una strega — rispose Andrea, con profondo accento di convinzione.

Lei lo guardò, interrogandolo, parlandogli con gli occhi, volendo sapere ancora.

— Una strega... una strega... — ripetette lui, come se rispondesse a una voce interiore.

Suonarono le nove all’orologio, ma niuno dei due trasalì. Una calma era nel salotto, dove si diffondeva la luce di una sola lampada, temperata dal paralume. Rumori non ne giungevano. Nulla. Due, soli, vicini; guardantisi. Quelle pause sembravano piene di significato e piene di dolcezza: non ricominciavano a parlare che con uno sforzo. Parlavano sottovoce, lenti lenti, senza un gesto. Egli non si avanzava, ma lei non tirava indietro il capo.

— Che profumo portate nei capelli? — chiese egli.

— Nessuno.

— Oh! ci avete certo un profumo. Poco fa l’ho sentito...

— Eppure non ci metto nulla.

— L’ho sentito, appoggiandomi dove si era appoggiata la vostra testa.