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132 fantasia


— Ditemi a che cosa pensate.

— Che v’importa? Penso alle cose lontane.

— È una malattia pensare troppo. A volte, ma raramente, succede anche a me di pensare.

— Pensate voi, ora, signor... Andrea?

La mano di lei pendeva, abbandonata. Egli scherzando, intrecciò un momento il mignolo suo col mignolo di lei. Un silenzio si prolungò.

— Che pensavate, ora? — chiese di nuovo Lucia, con quella voce bassa dove si effondeva tanta tenerezza.

— Non vorrei dirvelo. Come avete la mano bianca, lunga, sottile. Vedete che specie di manona ho io!

— Quel giorno, al torneo di scherma, la vostra mano fece miracoli.

— Credete, eh? — e diventò rosso dal piacere.

Di nuovo tacquero. Ella ritirò la mano e si mise a scherzare con le violette che aveva sul petto. Egli socchiuse gli occhi, non perdendo mai di vista quel viso puro, pallido, delicatamente colorito di roseo, quegli occhioni magnetici, quelle sopracciglia sottili, quella bocca rossa e schiusa come un fiore di melagrano. Si perdeva in una contemplazione vaga, vedendo sopra un fondo nebuloso spiccare quella figura affascinante di donna.

— Ditemi qualche cosa, signorina Lucia.

— Perchè?

— Voglio sentirvi parlare. Avete una voce incantevole.

— Anche Caterina me lo ha detto stasera.

A quel nome egli si alzò improvvisamente, fece due