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— Io... sì — disse, dopo una lieve esitanza.

— Brava, brava! Anche tu, Caterina: a te non ti fa nulla. E a Giuditta...

— No, alla bambina: si ubbriacherebbe.

— Ma che! una gocciolina, un fondo di bicchierino.

Lucia bevve d’un fiato, imperterrita: poi impallidì. Giuditta bevve, tossì, starnutò, rossa, con le lagrime agli occhi. Attorno alla tavola si rideva, mentre Caterina le dava dei colpetti sulla schiena.

— Credo che tu beva troppo cognac stasera, Andrea — gli mormorò all’orecchio.

— Non bevo più: hai ragione.

Levandosi per andare nel salotto, offerse il braccio a Lucia: cosa che non aveva fatta, entrando. Caterina si chetava. Quando li vide nel salotto giallo, seduti l’una sul canapè, l’altro sulla poltrona, discorrendo placidamente, ella se ne andò dentro a lavare il viso e le mani della bambina.

— Avete smesso l’ambra, signorina Lucia?

— Sì, signor Lieti.

— Perchè?

— Non so.

— Me ne rallegro con voi.

— Grazie.

— I fiori vi stanno meglio. Chi vi ha dato quelle violette?

— Siete curioso, signor Lieti.

Egli la guardava sorridente, l’occhio lucido. Invero gli pareva un’altra; forse per l’abito bianco, tutto morbido, tutto curve. Era preso dalla bonarietà sod-