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122 | fantasia |
un aspetto nuovo. Si sentiva offeso, e un lieve sgomento lo prendeva di quella donna che aveva la difesa della debolezza. Cominciava a sentirsi male in quell’ambiente, in una stanzetta piccola dove pareva non potesse stirarsi le braccia senza dar dei pugni al muro, in quell’aria profumata che gli opprimeva i polmoni, con quella personcina sottile e lunga, avvolta in un pezzo di stoffa turca, una donna che aveva una bocca simile a una rosa rossa e gli occhi ora stralunati come se vedessero meravigliosi spettacoli, ora languidi come se l’anima morisse nella stretta di desiderii sconosciuti. Egli sentiva un peso nella testa, come un principio di emicrania. Avrebbe voluto aprir la finestra con un pugno nei vetri, gettare a terra i muri con una spallata, sollevare il pianoforte e buttarlo nella strada, fare un atto di vigore per scuotere l’intorpidimento che lo vinceva. Poi una voglia brutale lo afferrava alla gola, una voglia di stringere quella personcina sottile fra le sue braccia poderose per farle male, per sentirne scricchiolare le ossa, per stritolarla. Il sangue gli andava alla testa e la testa gli si faceva sempre più pesa. Ella lo guardava, esaminandolo, agitando il suo ventaglio di penne di pavone. Intese forse? Senza dir nulla si alzò e aprì i cristalli, restando là a vedere quelli che passavano. Poi ritornò un po’ colorita in volto.
— Dunque? — chiese, come se volesse sapere la conclusione di un discorso.
— Dunque i vostri profumi mi danno l’emicrania. Per poco non son caduto in deliquio, cosa che non