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— Domani... non potrò. Mi sento troppo stanca. Domani no.

— Mercoledì, allora.

— Ve lo farò sapere — disse infastidita.

Quando Galimberti uscì, con un rossore di mattone cotto sulle guancie gialle, un senso di pena durò in quelle tre persone del salotto. Ognuno pensava qualche cosa che credeva di dover tacere.

— Povero diavolo! — esclamò finalmente Andrea.

— Sì, ma un noioso — soggiunse Alberto.

— Che vuoi farci? Queste signore, per squisitezza d’animo, si scordano che egli è semplicemente un maestro; e lui anche, stordito, lo dimentica. Quando ritorna in sé, deve soffrire molto.

— Oh! è un infelice — mormorò Lucia. — Io lo sopporto per compassione. Ma quando sono di cattivo umore e sto male, questo povero sofferente diventa un incubo, non so come liberarmene.

— È dotto in istoria? — chiese Alberto, con la curiosità infantile dell’ignorante.

— Sì, così. Non mi parlate più di lui: oggi ha guastato la mia giornata. Che dicevate prima che egli uscisse, signor Lieti?

— Che dicevo? Non me ne rammento più...

— Dicevi che la tua signora ti aveva detto di venire qui alle tre — suggerì Alberto, come recitando la lezione..

— Ecco. E io, dopo colazione, sono andato prima al bersaglio, poi ho parlato col deputato di Caserta per la esposizione agraria regionale di settembre, poi