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parte seconda | 115 |
e altre ancora che non pensi, io le scriverò in una lettera.
— Quando, quando?
— Oggi, stasera, domani.
— No, stasera.
— Bene, stasera. Ma tu non mi rispondere.
— Ti risponderò.
— No, Alberto. Tu hai il petto delicato, il curvarti ti stanca. Non voglio assolutamente.
Così il professore era perfettamente escluso dalla intimità di quel duettino, come una persona noiosa.
— Che ci fo qui, che ci fo qui, che ci fo qui? — domandava a se stesso. Ora aveva tratto indietro, goffamente, il piede calzato dallo stivale inzaccherato; ma lo rodeva un dubbio feroce, di aver la cravatta di traverso, come gli accadeva talvolta. Toccarla non osava. E il suo animo era doppiamente tormentato: da quella lettera che Lucia scriveva al cugino e da quella cravatta che non voleva mai starei a posto.
I due tacevano, guardandosi: sul volto tisico di Alberto vi era un punto interrogativo. Certo egli domandava tacitamente alla cugina: se ne va o non se ne va questo seccatore? E lei gli rispondeva con l’occhio: pazienza, se ne andrà, secca anche a me. Ma il più strano era che Galimberti presentiva confusamente tutto questo, voleva andarsene, ma le forze gli mancavano. Sentiva la schiena attaccata alla spalliera, la testa pesante insopportabilmente.
— Signorina, ecco il signor Andrea Lieti.
— Questo è un miracolo.