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112 | fantasia |
— Questo sì: tu mi dirai quelle bellissime cose che pensi, che mi sbalordiscono, e che rapiscono d’ammirazione quelli che ti ascoltano. Dove le trovi, tu, Lucia, quelle strane cose?
— Nel paese dei sogni — diss’ella, sorridendo con indulgenza.
— Vedi, vedi, il paese dei sogni lo hai inventato tu! Le dovresti scrivere queste cose, Lucia. Saresti una scrittrice...
— A che serve? Io non ho vanità. Non è vero, professore, che non ho mai avuto vanità?
— Mai. Una modestia eccessiva congiunta a un merito...
— Basta, non vi chieggo complimenti... Pensavo, stanotte: ho avuto l’insonnia solita...
— Spero che non avrai preso il cloralio?
— Per contentarti, non l’ho preso. Ho sopportato l’insonnia per te.
— Grazie, bella mia.
Si guardarono come due innamorati soddisfatti. Galimberti stava ad ascoltare, fissando la cornice di felpa rossa dov’era il ritratto di Caterina.
— Me ne debbo andare, me ne debbo andare — pensava.
Si sentiva inchiodato sulla poltroncina come se non avesse più forza per andarsene: era infelice, poiché s’era accorto che uno dei suoi stivali era infangato. Gli sembrava che Lucia guardasse sempre quello stivale. Non osava trarlo indietro e ci si crucciava.
— Dunque ho pensato stanotte, fra tante altre cose, che tu, Alberto, avresti bisogno di una donna.