Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
parte seconda | 111 |
questo: odorava le sue violette, diceva qualche parola, specialmente con suo cugino. Ma la conversazione non filava. Il professore, alle domande di Lucia, rispondeva per monosillabi, trasalendo o facendo la faccia dell’uomo che non capisce e che risponde per cortesia. Sanna non si dirigeva mai a Galimberti, parlando. Poco a poco il terzetto divenne nuovamente dialogo.
— Sono entrato nelle stanze di tuo padre, prima di venire da te. Usciva, voleva condurmi seco.
— Egli esce sempre... e tu perchè non sei andato?
— Stamane ha piovuto e mi sento nelle ossa il ribrezzo dell’umidità. Qui da te si sta calduccio: ho preferito di restare.
— Non hai caminetto a casa tua?
— Sai, quei soliti caminetti napolitani dove il fuoco non può vivere, un caminetto di carta pesta. Poi dal servitore non si può aver mai una cosa a modo. Io ci gelo, malgrado il tappeto.
— Accendete mai fuoco in casa vostra, Galimberti?
— ... No, signorina. Veramente non vi è caminetto.
— Come fate a studiare?
— Ma... studiando, non ho freddo.
— Tu, Alberto, quando hai da lavorare, vientene qui. Io ricamo e tu scrivi.
— Io non ho nulla da scrivere, Lucia. Sai che i miei affari li cura tuo padre. Già lo scrivere mi fa male al petto.
— Allora tu leggerai.
— Il leggere mi secca: non vi sono che corbellerie nei libri.
— Allora chiacchiereremo.