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parte seconda 109


— Oh a questa credeteci, che è una verità sacrosanta. L’unico tempo felice della mia vita è quello che passo qui.

— Ah sì? — fece lei, senza guardarlo.

— Ve lo giuro. Prima di venirci sono addentato da un’ansia, ho in mente tante cose svariate e pressanti da dirvi. Qui alla porta le dimentico tutte. Perchè? Temo di aver la testa debole. Poi questo tempo vola via, voi mi parlate, odo la vostra voce, sto qui con voi, nella stanza dove vivete, rimango troppo, credo. Perchè non mi scacciate? Quando me ne vado, alla soglia del portone il primo colpo d’aria mi porta via tutte le idee, e resto col cervello vuoto, tentando invano di riafferrare il mio pensiero.

— Ecco il signor Sanna, signorina — entrò ad avvisare Giulietta.

— Me ne vado — disse esitante, turbato, alzandosi, il professore.

— Come volete — e si strinse nelle spalle.

Egli restò, non sapendo come accomiatarsi mentre l’altro entrava. Alberto Sanna, chiuso sino al collo nel soprabito, con un fazzolettino di seta rossa per difesa della gola, portava in mano un mazzetto di violette. Lucia si alzò, gli dette le due mani, lo trascinò presso il balcone per osservarlo bene in viso.

— Come stai, Alberto? Ti senti bene oggi?

— Sempre a un modo — disse lui, rassegnato — una debolezza indicibile mi ha rotto le giunture.

— E stanotte hai dormito?

— Sì, abbastanza bene.