Pagina:Serao - Fantasia, Torino, Casanova, 1892.djvu/116

108 fantasia

siete costretto a vivere? Vi è un mezzo per riacquistare la vostra indipendenza. Date le vostre dimissioni.

— È vero... — mormorò lui.

Non avrebbe mai osato confessarle che uscire dal nobile educandato per lui era la rovina e la miseria. Di là ricavava il più forte dei suoi guadagni, di là qualche lezione privata di fanciulle che uscivano, con cui aumentava il gruzzolo per poter vivere, egli in Napoli, sua madre e sua sorella in provincia. Mancato questo, gli restava soltanto una classe serale, di scuola operaia, da cui ritraeva sessanta lire al mese: il mezzo per morire di fame in tre. Era già vergognoso di essere brutto, sgraziato, e quasi vecchio; si vergognava di confessarle che era anche povero.

— È vero... — ripeteva tutto desolato.

— Perchè non ne scrivete alla direttrice? Se vi è una cabala, dovete prevenirla.

— Una cabala vi è... la sento attorno a me... scriverò, sì, scriverò... uno di questi giorni.

Tacquero. Lucia carezzava le pieghe della sua vestaglia turca. Prese l’album dei ricordi e vi scrisse questi versi del Boito:

     . . . . . . . . l’ebete
Vita che c’innamora,
Lunga che pare un secolo,
Breve che pare un’ora.

Ripose l’album sulla tavola e il porta-lapis d’oro in tasca.

— Credereste una cosa, signorina Lucia?

— ... Così...