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parte seconda | 107 |
certe facce glaciali: quella Cherubina Friscia deve odiarmi. È una ipocrita beghina che misura le mie parole. Essa nota sul libro di presenza, quando arrivo più tardi. Non so come, talvolta dimentico l’ora: la mia memoria è diventata molto debole.
— Beato voi. E io che non posso dimenticare...
— ... poi le tricolori di quest’anno sono svogliate e insolenti. Mi contraddicono, si rifiutano di fare i compiti, mi fanno certe domande impertinenti. Ogni tanto perdo il filo del discorso e non mi raccapezzo più... esse ridono...
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— È finita, signorina Lucia, è finita. Io non trovo più diletto nell’insegnamento. Credo... credo che nel collegio abbiano montata una cabala contro me... una cabala spaventosa, terribile, segreta, che finirà per distruggermi.
Volse intorno l’occhio inferocito e pauroso, iniettato di sangue e di bile, come se volesse misurare i nemici contro cui difendersi.
— Il rimedio è molto breve, caro Galimberti — disse con semplicità Lucia.
— Ditelo, ditelo: siete il mio buon angelo: vi ubbidirò.
— Scuotere la polvere dai calzari e partire. Date le vostre dimissioni.
Galimberti restò interdetto, meravigliato. Esitava a rispondere.
— Non vi è cara la vostra libertà? — aggiunse lei. — Non vi nausea l’ambiente troppo meschino dove