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parte seconda | 99 |
— Non tirate di scherma, signor Sanna? — domandò Caterina per animare la conversazione.
— Come vorresti che tirasse! Se non ha mai fiato per dire quattro parole — rispose vivacemente Lucia, rendendo al cugino la malignità.
Per la pietà del pallore di Sanna, la Lieti arrossì, tremando. Un silenzio imbarazzante si fece nel palchetto. Poi, come se nulla fosse, Lucia staccò una gardenia dal mazzetto che portava alla cintura e la diede ad Alberto. Alle guance scarne di costui salì un po’ di sangue: tossì debolmente.
— Hai male, Alberto? — e gli pose una mano sul braccio.
— Sì, un poco: è il freddo — disse l’altro con una voce lamentosa di bimbo ammalato.
— Prendi un ponce per riscaldarti.
— Mi fa male al petto.
Caterina, fingendo di non ascoltare, stava tutta intenta allo spettacolo. Il conte Alberti aveva consegnati due fioretti al maestro Galeota cadetto e al dilettante Lieti. La sala fu di nuovo commossa. Il maestro Galeota cadetto era un giovinotto bello, elegante, con una capigliatura bionda e ricciuta, gli occhi azzurri e sfavillanti, una barbetta bionda e riccia, la carnagione bianca di una donna. La persona giusta, piena di grazia: un abito di azzurro oltremare con la cintura bianca. Di fronte a lui Andrea Lieti, come un colosso tranquillo.
— Dio mio — esclamò Lucia — Galeota pare il Nazareno. Com’è buono e gentile! Purché Andrea non gli faccia male.