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98 | fantasia |
L’altra salutò e ringraziò. Lucia stese due dita al cugino che le tenne un momento fra le sue. Era un mingherlino, abbastanza piccolo, un po’ curvo nel soprabitino: aveva le tempia incavate, i pomelli sporgenti, e i mustacchi scarsi, spelati, come un pennello bagnato nella gomma: del resto, l’aria signorile. L’aspetto malaticcio e il sorriso incerto. Parlava piano, sibilando le lettere come se gli mancasse il fiato. Raccontava a quelle signore che quel freddo gli faceva male, che malgrado la pelliccia non aveva potuto riscalducciarsi, e che era entrato, così per caso, al teatro, per aver caldo. Era fortunato di ritrovare quelle signore. Le pregava di non cacciarlo, per carità cristiana.
— Fuori — soggiunse — ho trovato il tuo professore di storia, Lucia, che passeggia fumando un sigaro. Perchè non entra?
— Non so! non avrà voglia di vedere la scherma.
— O non avrà il denaro da comperare il biglietto — ribattè Sanna con la malignità trionfante degli esseri morbosi.
Lucia lo saettò di uno sguardo, ma non rispose. Caterina rimaneva tutta imbarazzata, senza saper che cosa dire. Guardò sulla scena: si battevano due maestri con grande vocìo, forti colpi di piedi, e un agitare di braccia come i pali del telegrafo semaforico. La sala era disattenta, annoiata di quest’assalto che durava troppo e che la stordiva. Giovanna Casacalenda discorreva col commendatore, ritto dietro di lei, mentre occhieggiava obliquamente Roberto Gentile, l’ufficiale, in una poltrona, tutto impettito nell’uniforme nuova.