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di vento furioso. Caterina per ripararsi si voltò, e vide la carrozza con Galimberti dentro, col soffietto levato per non farsi scorgere, che le seguiva passo passo.

— Dio mio, ecco che ci viene dietro, Galimberti. E la gente che vede? Lucia, come si fa?

— Nulla, cara. Non glielo posso impedire. È il magnetismo, come capisci.

— Lui, ora manca alla sua lezione per venirci dietro.

— Non t’opporre ai Fati, Caterina.

Caterina tacque, non trovando niente da rispondere.


Quando entrarono nel teatro Sannazzaro erano le tre del pomeriggio, ma dentro avevano chiuso tutte le imposte, creata la notte, e fatta la luce col gas, come se si trattasse di una rappresentazione serale. Quasi tutt’i palchi erano pieni, e un cinguettìo, un cinguettìo soffocato, saliva al gaio soffitto dorato: ogni tanto una risatina, invano repressa, scoppiava. La gente entrava in platea, a gruppi di tre o quattro persone, cogli occhi un po’ abbarbagliati da quella luce posticcia: il gas pareva scialbo, venendo dal sole che era fuori, per le vie. Le signore erano tutte in acconciatura da mattina, vestite di scuro, coi grandi cappelloni piumati, alcune avvolte nelle pellicce. In un palco si sentiva rumore di tazze: due dame, la duchessa di Castrogiovanni e la contessa Filomarino, pigliavano del the per riscaldarsi. La contessina Vanderhoot continuava a tenere il manicotto sotto il suo nasino di cagnetta, alitando forte per riscaldarsi. Gli uomini, eleganti sotto la pelliccia sbottonata, la gardenia all’occhiello, la