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2 | fantasia |
il predicatore era disceso dal piccolo pulpito, e sull’altare, Cherubina Friscia, la maestra sagrestana, accendeva i ceri col lumino. La cappella entrava a poco a poco nella luce. I volti sbiancati e sonnacchiosi delle piccole si facevano rosei in quel chiarore: dietro, le grandi rimanevano immobili, con gli occhi che ammiccavano nello sbarbaglio, con le facce rilassate nella indifferenza. Qualcuna, col capo abbassato, pregava. Su queste teste chine batteva la luce dei ceri, giocando sulle grosse trecce costrette sulla nuca, su certi riccioli biondi, invano tenuti a posto dalle pettinessine. Poi, come tutta la cappella fu illuminata per la recita del rosario, il gruppo delle educande, coi vestiti bianchi di mussola, i grembiuli neri, e le cinture di varii colori per distinguere le classi, prese un aspetto gaio, malgrado la stanchezza e la noia che pesavano su quella gioventù.
Un profondo sospiro sollevò il petto di Lucia Altimare.
— Che hai? — le chiese sottovoce Caterina Spaccapietra.
— Ho male, ho male.... — mormorò l’altra vagamente.
— Perchè?
— Questo predicatore mi attrista: egli non intende, non sente Maria.
E le pupille nerissime nella cornea azzurrognola si dilatarono, come per una visione. Caterina non rispose. La direttrice intonava il rosario, con una voce grave, con un acuto accento toscano. Diceva lei sola il Mistero, poi tutte le educande in coro l’accompagnavano nel Gloria Patri, nel Pater, con un’acuzie di voci stridule, con un ondeggiamento di voci basse. Ella diceva