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in provincia. | 69 |
divenne sistematico, le imprecazioni furono sempre le medesime ed essi non poterono andare a letto senza aver versato sulla fedele carta la piena del loro dolore. Nel paese non si parlava che del loro incrollabile amore e dei loro tormenti; erano l’oggetto dell’interesse generale; se giungeva un napoletano lo conducevano a veder le rovine del loro anfiteatro e gli narravano il caso di Carlo e Maria. Quindi i due giovanotti, carezzati nel loro amor proprio, si atteggiavano ad un contegno di circostanza. Maria era pallida sempre, con un’aria malinconica, non sorridendo mai, parlando sempre alle amiche del suoi giorni senza gioia, rifiutando di divertirsi, contenta di somigliare tal quale ad una eroina del Mastriani. Carlo andava a fare delle passeggiate solitarie, era sempre di pessimo umore; ai balli non si moveva mai da un angoluccio, contento che intorno ad esso si mormorasse: Povero giovane, quell’amore sfortunato gli rattrista la vita! Nei circoli, nelle festicciuole, nelle visite, con la monotonia instancabile della provincia, ritornava sempre il discorso dei due amanti, e chi avesse qualche notizia fresca su di loro era accolto a braccia aperte: Carlo e Maria portavano dignitosamente il peso della loro popolarità.
Infine, non so dopo quanti anni, quattro o cinque mi sembra, di questa lotta continua, di questi pianti cotidiani, di questo amore allungato, allungato, mantenuto vivo dai dissidi, le cose cangiarono di aspetto. Vi fu una brava persona — ce ne sono ancora — che con molti sforzi di loquela persuase i genitori che ai processi ci si rimetteva del proprio e molto,