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l’altra vi erano affermazioni varie: soltanto era una inimicizia profonda e dichiarata. Essendo vicini di casa in città, vicini di terra in campagna, s’incontravano spesso, guardandosi in cagnesco; le donne sentivano la messa in due chiese diverse; se le fanciulle Dericca portavano abiti azzurri, le fanciulle Pasquali inalberavano subito il rosa; al consiglio municipale i Pasquali erano sempre conservatori ed i Dericca, naturalmente, sempre progressisti; quello che l’uno faceva, l’altro non avrebbe fatto per mille scudi; dove l’uno andava, l’altro non compariva. E poi pettegolezzi, maldicenze, mormorii, avidità di scandali, malignità: insomma quel corredo di piacevolezze che succedono in provincia fra due famiglie rivali. Su questo, Carlo, primogenito dei Pasquali e Maria, secondogenita dei Dericca, pensarono bene d’innamorarsi.

Gli amori delle piccole città non hanno molta varietà: per lo più sono relazioni che cominciano con l’infanzia, seguitano nelle partite di mosca cieca si manifestano solitamente nei balletti famigliari, continuano nel giuoco della tombola e si completano sempre davanti al parroco ed al sindaco. Sono amori risaputi, sorvegliati, stabiliti, registrati nelle entrate e nelle uscite della casa; protetti dai nonni brontoloni, dagli zii preti; conosciuti da tutta la città; amori senza nervi, senza lagrime, senza tenerumi, senza fantasticherie; qualche cosa di molto calmo, di molto lento, la cristallizzazione dell’amore. Ma Carlo Pasquali aveva avuto l’incomparabile fortuna di passare, in una volta, quindici giorni a Napoli, il che gli faceva guardar con disprezzo gli usi