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ed un delicato color roseo vi si diffuse come un gaio raggio di sole sulla neve; alle labbra rifluì il sangue ed il sorriso ed esse sbocciarono come una rosa; i capelli duri, tesi, senza grazia, ricaddero mollemente sul collo, ondulandosi; la linea rigida ed energica del mento s’incurvò. Il collo esile diventò pieno con un lento battito di vita, la persona parve formarsi e completarsi, le mani si fecero bianche e trasparenti, mentre alle tempia si scorgeva quell’ombra leggiera che è il segno sacro della maternità.

Col piccino che portava nel seno era nata anche lei; il primo palpito di quella piccola esistenza era stato simile alla forte voce di Gesù che fa sorgere dal sepolcro Lazzaro quatriduano. Il suo passato, pesante, triste, nero, si era annegato nella luce ed ella si trovò compresa da una felicità grandissima. Obbliò tutto, la vigilanza, le cure di casa, il marito, il padre: cedette le chiavi ad una zia e trascorse le giornate nella sua stanza, distesa in atto di abbandono nella sua poltrona, le mani inerti, le labbra vagamente sorridenti e gli occhi pieni di visioni. A chi le parlava rispondeva con voce commossa, dove vibravano toni di tenerezza finallora a lei sconosciuti: le sue parole erano dolci e gioconde, i suoi moti lenti e carezzevoli; camminando, il corpo ondeggiava in una linea sinuosa. Rivolgeva attorno, anche alle persone estranee ed alle cose indifferenti sguardi di amore; spesso le venivano agli occhi lagrime di consolazione che la soffocavano in una gioia infinita.

In quelle lunghe ore di riposo, Silvia volava con la fantasia ai paesi immaginarii, sprecandovi tutta