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sperare altro, quella voce interna che lo consigliava a smettere, si stancarono. Era giovane, non aveva mai amato, il sangue gli bolliva nelle vene e gli sconvolgeva il cervello; quell’attesa, quell’immobilità gli divennero insoffribili; aveva bisogno di decidersi a qualche cosa, di agire, di muoversi, di sapere che ne doveva essere del suo cuore e di sè. Le scrisse una, due, cinque lettere.

Erano male scritte, è vero: qualche espressione, qualche frase, qualche periodo era preso dalle commedie di repertorio; qualche errore di ortografia vi incappava ogni tanto; pure vi spirava un amore così profondo, così sincero, vi si manifestava un desiderio così vivo di una sola parola, di un sol sorriso, che l’altera fanciulla ne dovette essere scossa. Era da tempo che essa, sotto la bruna frangia delle palpebre, osservava la fedeltà di Gaetano a presentarsi ogni mattina; era da tempo che essa aveva l’abitudine di vederlo immancabile alla chiesa, alla passeggiata, sempre modesto, sempre un po’ triste; e lentamente, nel suo cuore freddo e solitario, comparve l’immagine del giovane innamorato. Sofia era uno di quei caratteri intieri, tutti di un pezzo, incapaci di cedere ad una debolezza, ma incapaci di mentire agli altri od a sè stessi; era altiera, ma per questa medesima alterigia non soffriva mezzi termini; non amava o amando, doveva andare sino in fondo. Poi le sventure sofferte da bambina le avevano data una severa lezione, le avevano insegnato che la nobile nascita non vale nulla in tempi nei quali non conta che il danaro: che oltre la nobiltà del blasone vi è pur quella del lavoro, an-