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258 dal vero.

Quando aveva ottenuto l’intento e si vedeva davanti una folla di volti ridenti, si congratulava con sè stesso come di una grande vittoria. Talvolta qualche spettatore isolato s’incaponiva a rimaner serio, non sorrideva neppure ai più graziosi frizzi; allora Pulcinella si ostinava da parte sua, s’infiammava, si moltiplicava, recitava per quel solo spettatore, fino a che lo avesse vinto e domato, sino a che lo avesse visto contrarre la bocca in una convulsione di riso represso. Chiamava questi spettatori con una parola pittoresca ed energica: scogli.

Quella sera appunto aveva trovato uno scoglio ed anche durissimo; quello lì non voleva ridere, proprio non voleva. Gaetano aveva lavorato bene e molto, aveva variato la trita commedia che si rappresentava, infiorandola d’improvvisazioni spiritose; ma lo spettatore non se n’era dato per inteso, era rimasto immobile ed indifferente; Pulcinella ci perdeva, lo spettatore era più forte di lui.

Veramente si trattava di una spettatrice: era una giovinetta che stava nel palco numero 2 di prima fila, seduta di fronte alla scena e quindi vicinissima. Una giovinetta dal volto pallido e lunghetto, un po’ magro; sulle linee esili del collo ricadevano due grosse treccie nere che erano appuntate, con semplice ed elegante ornamento, da certe stelle di tartaruga bionda; vestiva un abito di lana grigia, terminato alla radice del collo da una arricciatura di merletto bianco, chiuso a quel punto da una stella più grande di tartaruga; oscuri i guanti. Aveva ascoltato con molta attenzione, ma la serietà del viso non si era diradata; anzi una certa fierezza