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grandi giardiniere di argento, lavorato con un cesello così artistico da ricordare la mano di Benvenuto Cellini, sopportano gardenie, camelie bianche, rose bianche, garofani bianchi, mughetti, fiori di neve. Tutto d’intorno ha dei riflessi rosei ed argentei, il bianco vi sembra latteo, la linea vi si annulla e diventa una dolce curva; la vita vi deve essere buona. Ed il zuccherino di questa scatola di confetti deve essere una donnina graziosa, rotondetta, una gattina piena di vezzi, una personcina svelta sui tacchetti alti, palliduccia, con i capelli castani, gli occhi castani, le braccia tornite sotto i merletti, le mani piccole e piene di fossetti, una marchesina Pompadour senza cipria e senza nei.

Le quattro grandi finestre della sala terrena proiettano sulla larga ed oscura via quattro rettangoli di luce: è sera, i forestieri pranzano senza soggezione della gente che li può guardare, le signore sono vestite con eleganza, i camerieri in marsina circolano silenziosi e prodigando inchini. Nella via un suonatore di ghitarra accompagna la voce aspra e stonata del suo collega; un omnibus con un fanale rosso ed un altro verde che sembrano i due occhi strani di una bestia nera, passa lentamente; un giovanotto azzimato, arricciato, col fiore all’occhiello e col cervello in tumulto, corre ad un convegno; un poeta appoggiato al muricciuolo guarda