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mosaico. 239

di pesce fritto; un acquerello, con un’alba tranquilla ed immobile.

Il palazzo di fronte, di un bel giallo-croma, si cosparge di larghe macchie brune sotto la pioggia, poi si cambia in color legno; le lunghe stille d’acqua, ferite di traverso da un raggio di sole, diventano lucide e sembrano le pagliuche inargentate dell’abito di un allegro saltimbanco. Un fanciullo lacero, in maniche di camicia, con un fazzolettino a scacchi sulla testa, corre sotto la pioggia, cantando con voce acutissima un ritornello popolare, interrompendosi ogni tanto per gittare con un grido un’ardita disfida alla tempesta: il bambino, figlio di nobili signori, è presso il balcone, pallido, ammalato, vestito di pelliccie, solo; e stanco si abbandona a pensare sul ricco libro di immagini che non lo divertono più.

Sul caminetto, nell’anfora di terso cristallo, s’illanguidiscono le rose. Le bianche dal seno lievemente roseo somigliano ad anime candide il cui cuore si apre all’amicizia; quelle color di rosa, dai petali incappucciati, esalano il profumo irresistibile