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notte di agosto. 233

volto impallidiva sempre più, gli occhi si sbarravano, era ansiosa, fremente, pareva desiderasse ed allontanasse l’istante difficile; poi ricadeva quasi stanca, spossata da quella novella sconfitta. Giorgio la guardava trasognato: il sigaro era spento.

Pure quelle impressioni si dileguarono poco a poco, si attenuarono, scomparvero e vi rimase solo una tinta di malinconia. La suonatrice lontana, persuasa della inutilità dei suoi sforzi, era passata ad un altro pezzo e lo eseguiva alla perfezione; si vedeva che cercava distrarsi, dimenticare quel primo a cui non poteva riuscire. Passò ad un altro, provò il genere serio e quello scherzoso, stancò le sue dita in quel lusso di musica, ma come se le si fosse risvegliata la coscienza della sua inferiorità, ritornò un’altra volta al suo pensiero fisso, a quello scoglio pericoloso — vi ritornò, involontariamente, temendolo sempre: questa volta, davanti alla sua costante incapacità, parve che il medesimo pianoforte desse in un cachinno di scherno. E tutto tacque.

— Ebbene? — chiese di nuovo Giogio, ma con voce singolarmente raddolcita.

— Ebbene, — rispose Clelia, — questa suonatrice mi sconvolge. Sono dieci giorni che essa è tormentata da quella difficoltà ed io mi tormento con lei!

— Perchè?

— Perchè? Non lo so neppur io. Che importa a me di quello che suona? Perchè provo le sue stesse impressioni? Quale legame ci è fra me e lei? Che mi dice la sua musica, che vuol significare quel punto oscuro ed ineseguibile? Io non